Potessi, chiederei di firmare Eduardo Galeano questo pezzo. Parliamo di splendori e miserie del gioco del calcio. Ma evito anche perché ancora ragiono. Ieri sera in mondovisione un Napoli-Milan multietnico: Tuttosport ci ha ricordato che c’erano in campo 4 continenti rappresentati e i due patron vogliono fare gli americani. Uno lo è, autocertficazione, per professione. L’altro per passaporto e origine. Ma Aurelio de Laurentiis contro Gerry Cardinale non è stata sfida nella sfida. Più che altro un divertissement. Tra gli splendori della partita, la posizione del Napoli che ha indotto – erroneamente, parere personale – la città a mandare al diavolo la celebre scaramanzia e dare già il via al festival della passione e della fantasia. Al di là di mentalità manageriale (del resto comprovata dalle presenze di famiglia nel CdA) è chiaro che per la società azzurra il trionfo sportivo debba essere fonte di guadagno. Sarebbe illogico il contrario: quando una squadra vanta un titolo (…per ora) deve monetizzare passando per contratti pubblicitari che lievitano, presenze a tornei amichevoli tra star con gettone minimo raddoppiato, capitale calciatori che sale vertiginosamente. Nessuno scandalo. I presidenti mai sono stati ricchi scemi come pure li definì l’allora presidente del Coni Giulio Onesti oltre 50 anni fa ma certamente oggi più di ieri con staff moltiplicati per numero e costi, dipendenti in gran numero, ramificazioni di esperti sparsi per il mondo è chiaro che si punta al massimo guadagno possibile.
Sempre a proposito di letterati, i meno giovani ricorderanno le bordate di Pasolini sul calcio come oppio dei popoli, ritenendo le due ore liberatorie di ogni limite. Già, il limite: alzare l’asticella è un’immagine che rende l’idea ma francamente rattrista che le pernacchie siano superiori agli squilli di tromba. L’annunciato divieto di festeggiamenti nelle città sportivamente avversarie di Napoli, dimenticando che spesso per la labilità dell’equilibrio umano questi diktat sfociano in violenze allucinanti, ha indotto il Governatore De Luca a misurare i toni e ad evitare ridicole autoinvestiture da imperatore da parte di elementi diciamo coagulanti. AdL mai nel cuore dei tifosi e sempre più partenopeo per seguire l’evolversi della situazione sotto ogni punto di vista. Spalletti lo ha superato da tempo ripetendo e insistendo su appartenenza e mozione degli affetti. Basti pensare al ripetuto: “la nostra città, la nostra città”.
E alla vigilia della supersfida è stato Spalletti, che fu presentato come una sorta di cavallo pazzo e ha invece dato finora prova di intelligenza, esperienza oltre alla accertata e già nota bravura sul campo come allenatore a dolersi: “L’assenza dei tifosi dai settori popolari ci rattrista e penalizza una squadra che sta facendo tanto”, ha scandito il tecnico mentre da giorni infuria una polemica sui prezzi al rialzo con un taglio dei biglietti che avrebbe colpito anche dipendenti di lusso e non della Società. E’ il settore Family il più tartassato al punto che se venisse applicato il tasso variabile rischierebbe di costare come la rata per una villa con discesa a mare. Sotto accusa il presidente che mentre sta per giocarsi carte importanti in Europa non perde occasione per randellare la Uefa facendo nomi e cognomi come da tempo usa tra Lega e Figc riservando in particolare a Gravina pensieri spesso pesanti salvo passerelle utili come prima di Italia-Inghilterra. La festa a prenotazione in Piazza del Plebiscito lascia prefigurare ahi noi ogni segnale di chiusura anziché di apertura alla via della pazza folla (nel senso migliore, ovvio) e la ventilata maxi festa con 15 capitali del mondo in cui si inneggia al Napoli alletta ma angustia pensando magari a droni e occhi super vigili verso danni all’immagine o non rispetto degli stessi diritti che fanno temere faldoni di carte bollate. Del resto precedenti non mancano. Peccato. Peccato. Unico auspicio che alle miserie si preferiscano gli splendori. Sarebbe da titolare: gli splendori al Napoli, le miserie agli altri.
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