La morte dei settori giovanili ammazza il valore del lavoro di Mancini

In questi giorni, nel più assoluto anonimato si svolge quello che fino a pochi anni fa era il mondiale per club del calcio giovanile: il Torneo di Viareggio o anche Coppa Carnevale. Il giovane cronista che fui ha seguito varie edizioni, tra Guerin Sportivo e Tuttocalcio, inviando corrispondenze a più giornali riempendo la rubrica cartacea di nomi e numeri preziosissimi nel prosieguo della carriera, intuendo che un colloquio bisbigliato tra Nassi e la buonanima di Bronzetti, stava a significare una trattativa di mercato probabilmente imperniata su uno dei giovanotti in vetrina. Certo, l’età media ora si è abbassata per il debutto in serie A rispetto a quei tempi ma se è svuotata di ogni interesse la passerella che fu il Viarwggio vuol dire che questo calcio onnivoro inghiotte perfino la un tempo beata giovinezza.

Se Roberto Mancini che è un ottimo allenatore, intelligente e perbene, in carriera sempre ai vertici da quando era bambino, deve convocare Retegui che gioca nel Tigre d’Argentina in prestito dal Boca Juniors vuol dire che basta guardare la classifica cannonieri dove solo Immobile fa capolino tra i tricolori possibili e si sa che ha acciacchi per capire.

La morte dei settori giovanili: ricordo che si andava a vedere il Torino di Vatta con entusiasmo trovando in tribuna a Viareggio i più acuti osservatori e ds. Il Viareggio è un viaggio nella memoria ma anche nella malinconia. Certo, oggi ci sono squadre nordamericane ed europee, italiane ed africane ma si è visto un titolo urlato solo perchè una formazone nigeriana – giustamente – avvertendo puzza di razzismo se n’è doluta. In serie A è noto che i buuuuh vengono non sentiti da molti arbitri che avrebbero l’obbligo di sospendere il match e riportare le cose sulla linea della civiltà. Questo calcio mediatico e sovraesposto in Italia paga molti peccati: i Palazzi non devono diventare poltronifici, le porte girevoli non significano recupero di professionalità ma spesso una linea concessa alla compensazione o agli equilibri. Sui settori giovanili i grandi club investono con una visione globale che porta a Milano, Torino, Roma giovanissimi stranieri buoni per la prima squadra, mentre il livello del campionato Primavera è bassissimo e perfino il club ormai prossimo campione d’Italia ha squadre giovanili erranti per gli allenamenti e assai poco competitive, con classifiche che tra seconda squadra, Allievi e giù a scendere sono sentenze impietose. E allora in questo quadro contro l’Inghilterra è da ritenere più che dignitoso il secondo tempo di un’Italia che ha affidato le chiavi del gioco ad un metodista che gioca in Inghilterra ed un altro che culla sogni col Paris Saint Germain. Ottimi per carità ma lontani dal cuore pulsante di un’Italia che peraltro non ha la copertura di quella di Sacchi che faceva uno stage da 7 giorni al mese a Coverciano per preparare Europei o Mondiale mentre per l’ultima doppia sfida gli azzurri sono arrivati con le bende dell’ìultimo turno di campionato tutto graffi e spintoni. 

Serve una strambata netta verso l’obbligo del potenziamento dei settori giovanili sennò le sempre più nuemrose scuole calcio diventeranno fabbriche di illusioni tra genitori che si fanno strangolare da maneggioni e illusionisti e allenatori strizzati tra mamme e papà che invertono tutto sui sogni e la loro stessa ambizione di essere Mourinho. E così ingrassa il porco Sant’Antonio ed altri ancora che sono assai più porci, avrebbe detto Dante. Meditate gente, meditate.        

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