La competenza non si compra ma si forma, si cesella, si modella. L’esperienza si deve al percorso di vita. I sentieri della vita negli ultimi due giorni mi hanno fatto fare un meraviglioso salto nel tempo a Cagliari grazie ad un torneo di padel ideato e organizzato dall’Ussi, l’Unione Stampa Sportiva Italiana, che ha celebrato in un momento di dibattito la figura del sì popolare collega Giampiero Galeazzi ma anche del giornalista che capiva la notizia e laddove non c’era la creava. Ho conosciuto miti della mia infanzia, ex scudettati del Cagliari di cui ero e sono innamorato pazzo. E poi con racchetta forata una gioia ritrovarmi con Gianfranco Zola e Gigi Casiraghi, espressione di un calcio italiano negli anni ’90 super competitivo, e poi ancora con Jimmy Maini, il globetrotter Brocchi e il cervellone Dario Marcolin che mi ha consentito il piacere di ripercorrere percorsi di vita, fatti anche di partite, con quel sentimento di reciproco rispetto che non esiste più in questo calcio in cui i piranha mangiano i loro stessi coinquilini senza un segno di ragionervolezza.
Quando il discorso è finito sul Napoli e con candore e rammarico Zola alla vigilia della Caporetto di Empoli mi ha detto: un’altra occasione così chissà quando capiterà, con la Juve fuori dai giochi e le milanesi che si sono spesso incartate. Delusione Napoli ha scandito Dario Marcolin che per competenza, stile, rispetto del lavoro altrui non teme confronti.
Già, delusione Napoli. Purtroppo, lo sa chi mi ha chiesto nel finale di campionato quando il pallone pesa dieci chili cosa conta, ho spesso ribadito che c’è un momento in cui conta l’organigramma societario. Il Napoli è una società figlia del patriarcato in cui non c’è mediazione tra gruppo tecnico e monolite dirigenziale. Le voci più malevoli hanno segnato il a questo punto semi tragico finale di campionato in cui bisogna salvare il terzo posto. Società che in nome della politica del risparmio ha fatto sapere che per tutti i rinnovi sarebbero tendenzialmente al ribasso, Insigne non se n’è andato ma nulla è stato fatto per trattenerlo. Per Spalletti che ha le sue colpe ma nel momento decisivo si è ritrovato solo le critiche per le sostituzioni nelle ultime gare e frecciatine il destino è quello di Reja, Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso: l’accerchiamento costante per indebolirne la forza presso squadra ed ambiente.
Avventura inevitabilmente finita ma nel momento in cui serviva avere quegli elementi capaci di cogliere i fili dell’alta tensione che è uno spogliatoio il Napoli ha mostrato la sua debolezza: non serve se c’è un fondo arabo o un padrone indonesiano o americano ma chi ha in mano il cantiere e gente come Beppe Marotta nell’Inter con Zanetti che non è un’icona ma un esempio e un Maldini che quando a fine gara saluta la squadra ne riceve rispettosi segnali, non come un vigile impalato a battere il cinque.
Uno dei tanti esempi è il comunicato pasticciato riscritto riveicolato per parlare di un ritiro permanente. L’ennesimo colpo di machete su un’avventura finita.
Visioni tra i due mondi con atteggiamenti da calcio anni ’60, più di Canà che di Canè.
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