Sconsolato come può esserlo un serio professionista che si ritrova nel cono della tempesta senza vedere terra nè un chiarore all’orizzonte, Rino Gattuso punta su Bergamo con nelle parole l’assenza di quel veleno che lo ha reso celebre. “Parliamoci chiaro, il nostro obiettivo è la zona Champions. Sarà durissima, partiamo da zero a zero. Loro fortissimi noi emergenze varie, non ci si allena più. >Il Covid poi è vero che è un problema per tutti ma ci ono momenti in cui si aggiunge ad altri problemi”. Uno sguardo non furente, una parlata senza un ringhio. Certo, Gattuso comincia a pagare al di là dei suoi errori la costante delegittimazione orchestrata abilmente a gennaio quando anzichè parlare di acquisti giusti eppur ventilati, da Emerson Palmieri a Tavares e Zaccagni, si è pensato al casting per il dopo Gattuso, ai vecchi fantasmi sull’uscio, da Beitez a Mazzarri passando per Srri, fino a Giuntoli all’improvviso diventato poligamo e fedigrafo. Un Napoli che sconta pesantemente l’assenza di una figura capace di fare da cuscinetto tra parte tecnica e societaria. Chi scrive non ha scoperto il calcio da meno di vent’anni in qua ma ha avuto la fortuna di vedere all’opera gente come Italo Allodi e Franco Manni, Luciano Moggi e Ariedo Braida, Silvano Ramaccioni e Gigi Riva come team manager Italia, insomma se non sono zucca vuota qualcosa avrò notato che porta a pensare che il Napoli non ha struttura da super club. E i risultati sono questi, al di là della testardaggine di Gattuso che è poi quella di molti allenatori da Sacchi in poi. Solo che Arrigo, altro che il cul de Sac sbandierato da Gene Gnocchi, ha avuto la forza di cambiare completamente mentalità. A Madrid per vincere, non per pareggiare. Il perfezionamnento è diventato però ossessione ed ecco allenatori ormai vittime della nevrosi, con espressioni cupe che da anni non incoraggiano i calciatori. Certo, il tempo di Fascetti che parlava con chiunque a mezz’ora dall’inizio delle partite è sideralmente lontano, ma oggi gli staff sono piccoli laboratori di Cape Canaveral: droni, test di ogni tipo, analisi dell’iride, una grandinata di dati. Ma sul campo prima cosa è la personalità, il titolare assente nel Napoli e non solo. Il Napoli ha perso a Genova ma la cartellina finale rende amarissima e – secondo i dati – bugiarda la sconfitta. 26 tiri contro 4, 9 in porta contro 2, 67% possesso palla, eppure Pandev ha castigato senza pietà. E senza esultare. Tra i mister scienziati tra i più illustri c’è stato Zeman. Sempre giustamente ammirato, amato da calciatori come Totti, magari odiato da altri messi a lavorare duro dopo notte in discoteca, comunque un vero maestro di calcio che non ha però mai vinto nulla. Fatta eccezione che col Foggia dei miracoli promosso fino in A e poi gioielleria porte aperte per grandi club. Vent’anni fa guidava la Salernitana, arrivò sesta in B con 57 gol all’attivo. Macchina entusiasmante ma improduttiva. L’anno dopo una sconfitta casalinga gli costò il posto a vantaggio di Franco Varrella, altro sacchiano sparito nell’oblio dei sogni, enel dopo gara avemmo uno scontro duro: per Zeman la Salernitana era la migliore squadra del campionato per tiri in porta, passaggi fatti, assist, calci d’angolo. Io ribattevo che contavano i miseri punti in classifica e lo spettro concreto della retrocessione. Zeman si inalberò pur conoscendomi dai tempi eroici del Foggia e lasciò la postazione salvo attendermi in un angolo dell’atrio anti spogliatoio per dirmi che non si aiutava così facendo la gente a capire il calcio. Ora volano i droni, conquistano spazi aerei ma sono quelli nei 115 x 60 con prato verde che bisogna brucare, il resto è sì scienza che aiuta ma a volte anche statistica che inganna.
Rispondi