Dai mister indimenticabili no stress agli “esauriti” scienziati di oggi

C’era una volta Nereo Rocco, il paròn. E c’era HH, Helenio Herrera, che l’insuperabile Gianni Brera ribattezzò Accaccone. Mondonico a suo modo è stato un allievo di questi maestri semplici anche nel voler sempre scienti o motivstori prima dell’epoca dei mental coach : sono un allenatore pane e salame amava ripetere il Mondo, che viveva davvero in una sua orbita. 

C’è stata poi la rivoluzione. In tanti hanno studiato, studiato, studiato sbirciando allenamenti, leggendo libri e dispense dei supercorsi, viaggiando per il mondo. Ma da quando Scoglio il professore ad uso telecamere disegnava schemi coi fili d’erba davanti alla panchina, sembrano trascorsi secoli. La fase finale di Champions a girone unico in Portogallo ha completato l’opera di assi della panchina, tutti sguardi torvi e sempre tra le galassie, demoliti da giovani leoni, o perlomeno non top coach. 

Saltati Zidane e Sarri, ecco spalato anche Pep Guardiola.  A prescindere da come finirà, è la rivincita di Rudy Garcia, che in Italia è finito nel tritacarne Roma dopo aver saltellato sui sette colli, una volta in basso un’altra ai piedi della montagna. 

 Ecco su tutti uomo-sorpresa Julien Nagelsmann, 33 anni appena, da subito – dopo un infortunio a soli 20 anni – nelle giovanili del Monaco 1860. Il tulipano allegro ha portato il Lipsia già rivelazione al massimo, o forse non ancora al massimo. A seconda di come finirà questo duello tutto franco-tedesco in Champions. Flick guida il Bayern Monaco che ha surclassato il Barcellona mentre Touchel, finora considerato assemblatore di una squadra ricca di talenti come il PSG, ha dalla sua la serenità di chi ha la consapevolezza di poter entrare nella storia, quasi nella leggenda del calcio francese. 

Ma cosa c’entrano Rocco, Herrera fino a Mondonico e potremmo citare Scopigno, Chiappella, Pesaola, ma magari è un buon motivo per chiedere ricordi a cari preziosi e maturi colleghi –  mai vecchi – come Mimmo Carratelli per descrivere qualità tattiche e ricchezze umane, spentesi con l’uscita di scena dalle panchine di Carletto Mazzone. 

Leggiamo ora sui siti delle società gli staff di un allenatore: anche 10 professionisti perfino con un coordinatore della piccola macchina di idee e diavolerie. Con Guardiola per anni al suo fianco il Maradona della pallanuoto, e cioè Manuel Estiarte, team manager area tecnica. 

Oggi anche nelle partite dei campionati giovanili vediamo allenatori macerati dalla tattica, con al fianco  l’amico che crede in lui, che elabora dati, tabelle, proiezioni.

Certo, serve questo e il drone. Ma nei miei ultimi bordo-campo, il meglio per un racconto da vicino non spionistico ma di lettura della partita, mi sono divertito poco nel guardare volti tirati, cupi, quasi malinconici pur con la propria squadra in vantaggio. 

E mi veniva in mente Eugenio Fascetti, quando allenava il Varese rivelazione dell’avvocato Colantuono e dell’allora giovanissimo ds Beppe Marotta, alla vigilia di una sfida che valeva la A a Como. Lavoravo per Tuttocalcio e il Guerin Sportivo, la domenica notte dovevo consegnare un pezzo cher aveva già il titolo: Fascetti di speranze. Chiesi se dopo la gara poteva dedicarmi dieci minuti da solo. “Ma ora che l’hai da fare?”, mi disse.Mancavano 40 minuti al via della partita, e davanti alla porta dello spogliatoio parlammo finché l’arbitro non chiamò le squadre per il riconoscimento. Altri tempi, certo, ma questi mister negli ultimi 20 anni rosolati dalla loro ricerca di scientificità, non c’entra il sacchismo né il sarrismo, hanno generato tecnici nei cui occhi i calciatori vedono incubi più che speranze. 

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