Tutti campioni. E anche un po’ folli. Paradosso e primato della tecnologia. A chi era giovane cronista nel 1987 tanti chiedono la differenza tra quegli scudetti e questo. Vince la rappresentazione mediatica del trionfo. Il “nun sapit che vi siete persi” davanti al cimitero era il frutto di voci che nascevano da un passaparola che arrivava alle orecchie dei redattori, inviati, collaboratori magari in azione col vecchio gettone Sip da 200 lire. Oppure macchine fotografiche in spalla, gli obiettivi nel multitasche ed ecco Mariettiello Siano papà d’arte, il monumento Nicois, Di Laurenzio e ancora Alfredo Capozzi o i giovanissimi Cuomo e Mosca andare ovunque e scattare, scattare per poi rinchiudersi nella camera oscura e portare fieri in redazione quello che faceva divertire i capi ma sempre concentrati a distribuire equamente il prodotto tra le pagine, calibrando la natura dei pezzi.
Coi calciatori nel reciproco rispetto dei ruoli si conviveva tutto sommato allegramente. Allenamenti visti da dietro le porte. Insomma i campioni siamo noi magari a denti stretti per quella scuola del sacro giornalismo che vietava ogni simbolo in tribuna stampa, ogni esultanza nella tribuna dei critici lo pensavamo e lo dicevamo ma senza che nessuno se ne accorgesse. Ricordo che durante i festeggiamenti del primo scudetto 10 maggio 1987 mi avvicinai ad un collega di classe e cultura che aveva scritto anche commedie oltre ad essere firma del calcio e cioè Nino Masiello. Aveva in mano il registratorino usato per le interviste. Mi disse di non parlare,e scorgendo la mia mortificazione mi si avvicinò sussurrando: devo registrare l’audio dello stadio. Chissà che fine ha fatto quella cassettina, è storia. Ma è tutta un’altra storia nel momento in cui per promesse fatte si va in giro nudi, oppure ci si fa il selfie, perchè no anche in sala stampa, come a dire è successo perchè io ci sono. E’ la società dell’immagine si dice e nel momento in cui avere frequentazione di un centro sportivo, non ne parliamo del poter assistere ad allenamenti se non per doveri contrattuali come impone la Uefa, e allora si lavora sbirciando i profili social. E così si racconta agli altri. E vediamo il capitano impettito su una sedia dire il calcio e la vita sono così ma chi vince a Napoli è campione per sempre. Lo scudetto della mela morsicata e per fortuna non avvelenata ci ha svelato quello che anni fa era spesso solo il frutto della conoscenza personale: oggi sappiamo del grande medico, scienziato, matematico, scrittore, cantante che sui gradoni si trasforma e nel salotto di casa quando gioca il Napoli è infrequentabile. Ma a parte esagerazioni fisiologiche questo molto televisto campionato per esigenze commerciali tv è stato il più coinvolgente ed interpretato da tutti. Una spicchio di tricolore ognuno lo sente suo. E lo ha dimostrato. La contemporaneità tecnologica ha fuso l’alba di Melbourne all’imbrunire di Napoli e viceversa. Un’onda whatsapp, telegram, facebook. Dimenticavo: tik tok, c’è Il Napoli campione D’Italia per la terza volta. Toc toc, bussa la passione magari hi-tech ma sempre è soprattutto questione di cuore.
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