Da Diego a oggi come è dura raccontare lo sport

A quale racconto dello sport ci stiamo abituando anche noi narratori? La morte di Maradona ha riproposto filmati in cui chi c’era per far sapere a chi ascolta, legge, era a due passi. Nè steward né bodyguard, né ingressi presidiati come basi-Nato. Il racconto di una vita vissuta, di una carriera irripetibile è stato così completo perché differenti erano le condizioni di lavoro per gli operatori dell’informazione: dai giornalisti ai fotografi. Ai cineoperatoeri. Cosa abbiamo oggi dei big dello sport? I video postati su Instagram, sgaiattolate tra check in e centri sportivi o porte d’albergo.

Allenamenti sparati, nessuna partecipazione ad eventi. Anche su questo Maradona ci aiuta a riflettere. Quale ruolo ha oggi la stampa ma su quali possibilità di lavoro può contare? 

Porte chiuse negli stadi, poi riapertura parziale poi di nuovo zona rossa. E’ sempre in numero ridotto i pass per la stampa alle partite. Non va meglio negli altri sport restituiti alla passione dei tifosi e al business dei padroni del vapore, tipo la formula 1: mascherine, distanziometro, rigido protocollo. 

Le redazioni sono vuote: la formula dello smartphone working andrà avanti imperterrita fino a fine anno, ghiaccio,  forse più. Tra vaccinazioni di massa e conteggi algebrico-scientifici chissà quando si rivedrà una riunione di redazione., La stampa, in particolare quella sportiva, con la sua sterminata rete di collaboratori, firme anche da piccoli paesi per la cronaca di volley o calcio dilettanti, basket o pallamano, e perchè no hockey su pista e su ghiaccio ma potrebbe proseguire paga un pesantissimo pedaggio. Non è questione di nostalgia ricordare le vecchie macchine per scrivere rullo e tasti che alla fine diventavano una sinfonia, ma persino i silenziosi pc erano il sottofondo impercettibile, un Din ogni tanto, al vociare tipico delle redazioni.

 Perfino i grandi giornali hanno dimostrato che è possibile fare servizi ed interviste stando a casa.  Le radiocronache da tubo, cioè da saletta, sono frequenti e il racconto dello sport è arido, casi glaciale. E’ una vittoria solo per gli editori, inutile per i sindacati dire che così si evita una carneficina di licenziamenti. Muore il giornalismo, che anche nello sport è racconto di pezzi di vita ma frutto di conto ravvicinato, incrocio di sguardi, studio della postura e della reazione a domande, alla volontà di aprirsi e raccontarsi. O fotografia per iscritto di un gesto atletico, una prodezza da podio.

Quale futuro? La stampa sportiva mondiale ascolta le sue antenne nel mondo e traccia un bilancio. Mai così distanti, mai così vicini: AIPS e il futuro del giornalismo sportivo nella prima conferenza globale online

Un evento unico ed epocale, dal sapore simile a quello che, esattamente 96 anni prima, ebbe la fondazione dell’Associazione Internazionale della Stampa Sportiva per mano di una manciata di giornalisti riuniti su un ring parigino prima delle Olimpiadi del 1924. Questa è stata la prima conferenza virtuale di AIPS dedicata al futuro del giornalismo sportivo in occasione della Giornata Internazionale dei Giornalisti Sportivi celebratasi lo scorso 2 Luglio.

L’evento, tenutosi si è tenuto sulla piattaforma digitale Zoom e in streaming sui canali Facebook e YouTube di AIPS ha coinvolto più 500 giornalisti da oltre 140 paesi del mondo. Il presidente di AIPS e storica firma della Gazzetta dello sport Gianni Merlo ha aperto l’evento parlando della “nuova visione che il giornalismo deve avere nella inedita e insospettabile realtà plasmata dal COVID-19, perché i nostri valori sono immuni da ogni virus”. A seguito del messaggio di augurio e solidarietà del presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach, la parola è passata alla giornalista kenyana Evelyn Watta, vicepresidente di AIPS, autrice di un potente contributo sul tema del razzismo nello sport. Successivamente, la conferenza si è allargata ai veri ospiti dell’evento, ovvero i direttori dei alcune delle più importanti testate mondiali.

 Da parte nostra, l’Ussi intervenendo al dibattito tramite il mio contributo ha evidenziato come la vicenda Covid abbia anche messo in luce la differente considerazione rispetto al lavoro e al ruolo del giornalista. Ci sono stati paesi che hanno subito destinato risorse in particolare ai free lance mentre in Italia il moloch burocratico ha reso tutto ancora più complicato mentre è stata serrata la battaglia di Ussi insieme con Ordine dei Giornalisti e Federazione della Stampa per consentire un numero di presenze fisiche logiche per giornalisti e operatori per immagini agli eventi considerando come in altri settori della vita sociale era stato consentito un format che non giustificava la chiusura pressoché totale verso i giornalisti alle partite di calcio.  

L’esperimento è stato ripetuto, e sempre giornate ricche di speranza ed intraprendenza più che di malinconia pur in un quadro generale avvilente. 

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