Qual è il vero Napoli e dove sta il vero Napoli: domanda pesante, un piombo. Intonando Yesterday, c’è una considerazione che parte dall’animo: un Liverpool everyday per il Napoli. Jurgen Klopp tra cronaca e leggenda. 15 vittorie in 16 gare, 40 gol fatti, 11 punti di vantaggio sulla seconda. Mai una Premier League così squilibrata, con una sola squadra al comando la sua maglia è rossa il suo nome è Liverpool, parafrasando Mario Ferretti quando raccontava alla radio i trionfi di Coppi.
Il Napoli che ha travolto il Liverpool al San Paolo e usato classe e mestiere nella gara di ritorno, pareggiata, non è neppure lontano parente di quello visto a Udine dopo il ritiro voluto da Ancelotti per poter guardare negli occhi i suoi, e viceversa. Certo i periodi sono differenti: la sfida del San Paolo fu partorita in un clima di concordia, quasi eufurico. Quella di ritorno nel mezzo di una tempesta ma comunque ben letta da tecnico e squadra. In un bailamme senza limiti, in cui in una sorta di diabolico gara al massacro nessuno evita errori, più dubbi si insinuano partendo da un dato apparentemente statistico, soprattutto se contro il Genk il Napoli porterà a casa la qualificazione agli ottavi di Champions con una partita convincente. C’è la concreta possibilità che sia il palcoscenico internazionale, la vetrina che sta a cuore a molti calciatori per indurre estimatori vecchi e nuovi a farci un pensierino. A pensar male a volte si indovina. Insomma, soglia di attenzione elevata rispetto al campionato. Fantacalcio? Lo sarebbe se non si ha contezza che ogni giorno un allenatore si ritrova ad avere a che fare con le esigenze di 30 aziende, i suoi calciatori. Ed egli stesso è un’azienda. 5 punti nelle ultime 7 partite, ultima vittoria in campionato il 19 ottobre: 2 -0 al Verona con doppietta di Milik, da criticato a rimpianto, una storia non inedita nel calcio. Sembra a questo punto missione impossibile il quarto posto in campionato che vale la qualificazione in Champions, considerando il passo perlomeno costante della Roma, quello speeds della Lazio che ha travolto la Juventus, la consuetudine comunque dei bianconeri a lottare per vincere, l’Inter spalle e guizzi di Conte, ritenendo alla distanza colmabile il ritardo da Atalanta e Cagliari se il Napoli tornerà decente.
Con abilità, la proprietà forte del fatto che ai tifosi interessano risultati e classifica al di là di ogni pur giusta considerazione su organizzazione del club, capacità di relazioni eccetera ha spostato ogni colpa sul blocco tecnico, in testa ovviamente l’allenatore. Per esempio basta ricordare che nel momento del caos, ecco l’allenamento a porte aperte agli abbonati al San Paolo che col bus sociale che stazionava prima di essere ingoiato nel passo carraio fu come l’imputato mentre il PM elenca le accuse. E la vicenda multe che da 40 giorni 40 non trova una posizione chiara. C’è una squadra triste, che si presenta in campo cupa, e le immagini sono chiare.
Un’autentica sorpresa il progressivo arrotarsi di Ancelotti che pur essendo molto ma molto bravo è andato in contraddizione troppe volte, l’ultima ad Udine: se il disegno era sfidare gli obelischi friulani con palla a terra in velocità per Lozano-Mertens-Insigne si sono visti solo cross dalle fasce. Idee poche e confuse. Si è rivisto Callejon in un centrocampo dove il cigno Ruiz gioca guardandosi nello specchio d’acqua come Narciso e Zielinski gol a parte non evidenzia margini di ulteriore crescita. La rete subita dall’Udinese è roba ridicola per una squadra con gli obiettivi del Napoli.
Verso Genk ci si lascia alle spalle anche il contatto di Ancelotti, con La ormai famosa clausola social che ha prodotto botta e risposta col Fatto Quotidiano venuto in possesso del documento, che conferma quanto asserito da navigati capitani d’industria, sentiti con le mie orecchie: “i contratti di ADL hanno più clausole a vantaggio del club e sono di centinaia di pagine, vince sempre”. Ora se la società mai si è avvalsa della facoltà di parlare con la faccia e la penna di Ancelotti seppur in maniera virtuale, non è stato smentito che la clausola – anche questa – esiste. Non è aziendalismo questo ma un esproprio. Sarebbe bastato ai legali di Ancelotti far scrivere che è fatto divieto al dipendente di utilizzare profili social personali ma comunque riconducibili alla professione e all’impegno di lavoro in essere che potrebbero coinvolgere la società di esprimere pareri o posizioni su aspetti come x,y,z. Ma dire che si può far scrivere al proprio posto non è una bella cosa.
Ma in fondo trattasi di vicende che servono per aiutare a comporre il mosaico su una società molto rigida nel dovuto in entrata, chiusa in un fortino, poco dialogante anche al suo interno dove si ha l’impressione sia vigente un clima da Gestapo, ma tutto ciò che è “fuori campo” interessa poco al tifoso che vorrebbe rivedere il Napoli versione Liverpool. C’è però da dire che se è vero che manca all’appello James Rodriguez nella lista dei desideri di Ancelotti, ADL non ha venduto nessuno spendendo non poco per Lozano e Manolas. Ma questo Napoli rafforzato galleggia come una bottiglia vuota lanciata in mare aperto. L’unica speranza è che contenga perlomeno un messaggio di speranza.
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