L’Amatissimo Campionissimo, 100 anni di solitudine nella marea di cuori a pedali

E’ sempre un superlativo a scandire la leggenda: il Campionissimo. Ma va aggiunto: l’Amatissimo. 100 anni di solitudine tra l’affollatissima carovana di cuori nel mondo che hanno palpitato e per magico ritmo della parola e del filmato palpitano ancora per lui: Fausto Coppi. 15 settembre 1919, Castellania: la data di nascita. Morte fisica assurda, per malaria. Aveva scollinato i 40 anni. Morte, mai. Fausto Coppi vive per tutti, persino per chi all’epoca parteggiava per il toscanaccio ruvido e campione Bartali, perfino per gli sciovinisti francesi che deliravano per Coppì, il dominatore dell’Izoard o del Puy dè Dome. Era un’epoca d’oro per il ciclismo, quella di Coppi. Oltre a Bartali ecco Anquetil o Koblet. E altri e altri. Ha ricordato de Filippis, campione d’italia poi nei primi anni sessanta: “non gli piaceva stare in gruppo, partiva e andava da solo, scatenando quelle folle che non spettavano altro che vederlo cavaliere solitario su montagne innevate e poi lungo discese da brividi”. 

I record sono immacolati: 56 gare vinte per distacco, e poi un Tour conquistato dopo aver perso 36 minuti all’avvio per una caduta, a conti fatti infliggendo un’ora di distacco al secondo, Neill. 

Coppi era il mondo anche come personaggio: il cattolicissimo Bartali coniugato e fedele, lui che aveva ritrovato la morosa abbandonata durante il servizio militare sposandola tra la felicità della sua gente e del paese e celebrando la nascita di Marina. Poi la travolgente passione per Giulia Occhini, che vestita prevalentemente di bianco occhieggiava sui traguardi, e per questo un giornalista francese ribattezzò  la Dama Bianca. Lei finì agli arresti, poi ai domiciliari. Il frutto del loro amore nacque in Argentina, quel Faustino che somiglia al papà ma che spesso come figli di Unici Talenti in bici non è mai andato neanche a spingere.

Eppure, a Coppi fu perdonato dall’Italia bigotta anche il peccato del figlio con l’amante. Perché si capì che era innmorato. Il suo rapporto con la Campania è stato stupendo. Il piemontese che da ex prigioniero di guerra viene assegnato come attendente ad un generale inglese, il giovane che inorgoglisce chi lo riconosce e Gino Palumbo – mitico anche lui – che lancia una proposta: una bici per Coppi. Da Sant’antonio abate arriva l’altra metà di fausto: un manubrio, due ruote, una catena, due pedali, la sella. E lì, ad un metro e mezzo da terra ma assai vicino alle stelle, che Fausto Coppi si trasforma da coscia lunga e secca e petto da palumbo in Airone. Fenomeno anche medico: 47 battiti al minuto, 7 litri d’aria nei polmoni. Per questo, volava. E sognando di volare come lui lo amiamo, orgoglio italiano nella Storia. Come ovunque, anche in Campania c’è una cima Coppi. Una stele lo ricorda in Costiera Amalfitana, tra i tornanti che portano ad Agerola. Si racconta che ad un Giro d’Italia il Campionissimo fosse transitato con ritardo da Salerno, dove dietro improvvisate corde e poche transenne la gente a fatica veniva contenuta dalla Polizia Municipale. Ci fu chi con ampi gesti delle mani invitò Coppi a non deludere. E sempre la leggenda racconta che lui avesse promesso ad uno degli immensi poeti del Giro, Alfonso Gatto, salernitano che scrisse epiche cronache dal Giro e raccontò di un tentativo del campionissimo di insegnargli ad andare in bicicletta, di voler fare passerella. Coppi pare alzò la mano appena appena come per dire aspettate: il tracciato portò tutti sul  Valico di Chiunzi, e Coppi inghiottì avversari come sorsi di sorgente. Fino a svettare sull’agerola solitario tra nuvole basse in segno di ossequio alla distesa del mare infinito. Infinito come lui, Fausto. 100 anni oggi, per sempre.   

 

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